di A. W. Tozer - Ogni credente ha avuto modo o vorrebbe aver modo, qualche volta, di mettersi a confronto con qualcuno più saggio o più spirituale di lui e chiedere a lui consiglio e guida per la vita cristiana. Questo è buono ed anche scritturale, quindi non può essere condannato. Un’anima nuova e rinata in Cristo è felice quando trova un’altra anima pura e santa da prendere come modello e dalla quale può imparare quali siano le vie per il regno di Dio. Costui agisce da mentore per preservare il giovane cristiano dal fare molti sbagli e per salvarlo dalle insidie in cui potrebbe altrimenti cadere.
Se ne parla molto nelle Scritture e si trovano molti esempi di insegnamento. Giosuè ebbe il suo Mosè, Eliseo ebbe il suo Elia e Timoteo ebbe il suo Paolo. Questo ci dice molto dell’umiltà di questi giovani uomini, i quali avevano volontà d’imparare, ma anche della pazienza dei più anziani che a loro volta erano ben felici di insegnare. Se ad esempio Mosè non avesse più voluto la compagnia del giovane Giosuè non volendo essere infastidito da lui, o se Giosuè fosse stato troppo orgoglioso e sicuro di sé per sedersi ai piedi di Mosè la storia d’Israele sarebbe stata differente.
Il rapporto maestro-discepolo è normale e sano fino ad un certo punto; superato il limite diventa dannoso sia per il maestro che per il discepolo. Un neonato attaccato al seno è una cosa bellissima e naturale da vedere, ma un bambino di quattro anni che non è ancora stato svezzato può incorrere in danni fisici e psicofisici. Tale anormalità avrebbe ripercussioni sull’intelligenza del bambino e metterebbe in discussione la competenza e la saggezza della madre.